Ogni tanto io e mio marito ci guardiamo sconfortati e ci chiediamo cosa stiamo sbagliando con i quattro figli che stiamo crescendo.
Insegno alle persone a conoscersi e ad usare al meglio le proprie capacità, e questo accade perché ho sperimentato tutto su di me, ma con i figli è diverso.
Sembra si divertano a fare il contrario di quello che chiediamo loro di fare rendendo la giornata molto molto difficile.
I piccoli sembrano due cuccioli di lupo che fanno la lotta in continuazione ovunque, dandosela di santa ragione, non importa si trovino al supermercato o a casa di amici; quelli adolescenti discutono in modo polemico, giudicante e aggressivo su ogni parola esca dalla nostra bocca.
Quando al pomeriggio sono presenti tutti e quattro la casa é un delirio. Tutti parlano, urlano, litigano, c’é un’atmosfera che è il contrario della pace. Solo a tratti, tutto tace, allora c’é veramente da preoccuparsi: qualche giorno fa in un attimo di distrazione (ho risposto ad una telefonata di mio padre che non sentivo da tanto), quello più piccolo di quattro anni era appeso ad un ramo in cima all’albero in giardino senza scarpe (é inverno) mentre l’altro di sei stava smontando, in modo pericolosissimo, una specie di panchina di legno e chiodi arrugginiti; quello più grande di diciotto anni se n’era andato con gli amici uscendo dalla camera da letto invece di studiare e l’altra di quindici si era dissolta e ormai persa per sempre in Instagram.
Allora quel momento terribile di silenzio ridiventa caos perché per riprendere tutti mi ci vuole tutt’altro che calma. Quando spiego e chiedo loro le cose serenamente sembrano sordi: non si girano nemmeno. Eppure provo più e più volte la pazienza prima di alzare la voce. Così dopo aver provato a ragionare serenamente con tutti loro senza esserci riuscita…ecco che devo tirar fuori il drago irato. E a quel punto cosa accade? Fatica devastante. Brucio tutta la mia energia vitale in un nanosecondo. Per cui, dopo aver urlato a quello in cima all’albero di scendere senza esserci riuscita, ho urlato a quello che saltava sulla panchina di smetterla subito e di andare a tirar giù il fratello dall’albero perché fin lassù per me era troppo. Poi ho telefonato a quello uscito con gli amici e gli ho detto che l’avrei buttato fuori casa se non fosse tornato a studiare e a quella che ormai era passata ai selfie che non l’avrei fatta uscire per 15 giorni.
Il risultato della mia furia? Quello sull’albero, ha tirato uno stivale (che comunque non aveva ai piedi ma se li era portati solo dietro a mano) sulla testa del fratello, che aveva tentato di tirarlo giù e che ora piangeva. Il giorno prima sempre quello di quattro aveva tirato un lego in faccia al fratello che urlava disperato; quando sono entrata per sgridarlo si è messo in meditazione con gli occhi chiusi e le mani sulle ginocchia finché non ho finito.
Quello più grande, di diciotto, mi ha risposto che non sarebbe tornato perché l’amico non poteva più riportarlo indietro e che quindi sarei dovuto andarlo a prendere io e quella di quindici che aveva quasi finito e di star calma perché non c’era niente di grave per cui arrabbiarsi.
Allora mi sono seduta sulla poltrona comoda di fronte al camino acceso e mi sono messa a meditare anche io, come il figlio piccolo quando vuole essere lasciato in pace dalle sgridate; più che altro mi sono messa a pregare per loro.
Alla fine i piccoli sono rientrati dal giardino perché avevano fame: fango fin sopra i capelli, i vestiti perdevano pezzi di terra, e quello piccolo non poteva nemmeno togliersi le scarpe perché era uscito scalzo quindi lasciava orme marroni ovunque. Ho fatto loro notare con calma che stavano riempendo la casa di fango. Quello di sei, prima di togliersi i vestiti sporchi, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: “Anche il fango è Dio”.
Mi sono rimessa quindi sulla poltrona davanti al fuoco a meditare o meglio a pregare per me questa volta.
Dopo poco è rientrato quello di diciotto che alla fine aveva convinto qualcuno a riportarlo indietro. Mi ha visto sulla poltrona davanti al fuoco e mi ha detto: “Ma tu non fai mai niente?”
Non ho risposto alcuna cosa ma sono rimasta ferma immobile in silenzio sulla poltrona perché avevo bisogno ancora di meditare per non spaccargli la testa.
Tutto ciò anche se con differenti eventi accade un po’ tutti i giorni.
Ecco, questo è il motivo per cui sono un po’ provata. Ma va tutto bene perché il punto è chiedersi: “Chi è provata?” e qui si apre una porta perché se si guarda a fondo si vede che è un’immagine di sé è ad essere provata. Basta spogliarsi di quell’immagine perché interiormente accada qualcosa di interessante.
Questo vuol dire agire come sembra più giusto in quel momento ma ricordarsi che la sofferenza che si prova spesso è data dal confronto con cosa dovrebbe essere e cosa no, dal confronto con un ideale che proprio perché è ideale non è reale.
Quindi ringrazio i miei figli perché è soprattutto grazie a loro che non ho più la forza di afferrare alcun ideale, alcuna immagine. Nell’abbraccio a quello che c’é in questo momento nasce il silenzio, la pace e la forza per vedere, per creare nuove possibilità in ogni direzione.