Il bambino è molto abile in quello che l’adulto non sa fare più: creare le sensazioni che gli mancano attraverso storie che io definisco preziose.
Se ha bisogno di coraggio gioca ad essere il cavaliere che combatte il drago, se vuole tenerezza gioca a ‘’mamma casetta” ecc.
Il bambino di tre/quattro anni usa il gioco per nutrirsi delle sensazioni di cui ha bisogno. Un meccanismo innato gli permette di capire come usare il simbolo per creare ciò che gli manca ed esserne appagato.
Osservando mio figlio Elia (quattro anni a luglio) rimango sorpresa di come sappia creare la storia più appropriata per generare la sensazione che gli serve in quel momento della sua vita.
Sembra conoscere bene la differenza tra visionario e sognatore poiché quando gioca non dice mai: “Sarò un cavaliere”, e nemmeno “facciamo finta di essere l’uomo ragno”, ma dice: “Ora sono un cavaliere”.
Il sognatore vive infatti nella mancanza del suo sogno che si realizzerà forse solo in un possibile futuro mentre il visionario vive la sua meta qui e ora proprio come accadesse in quel momento.
Il visionario vive di pienezza, il sognatore di mancanza.
Focalizzare l’attenzione su un’immagine di sé felice e gustarsela come presente e viva in quel momento permette di nutrirsi della frequenza di cui si ha bisogno integrandola nel proprio sistema psicofisico.
Quindi, quando Elia vuole giocare a mamma casetta ed essere il bambino piccolo capisco che ha bisogno di sentirsi particolarmente accudito e coccolato e che anche il gioco può essergli molto utile per dargli appagamento. Dopo un po’ infatti, quando si sente nutrito da ciò che ha creato passa ad un’altra storia per immergersi in un’altra sensazione.
Se guardiamo gli occhi di un bambino in età prescolare che gioca vedremo che vive la sua storia come accadesse in quel momento. Per questo può trarne grandissimo beneficio; la sua coscienza vive la storia che ha creato come un’esperienza reale.
Noi genitori o educatori dovremmo imparare a raccontare ai nostri bambini le giuste storie, quelle che permettono loro di essere nutriti della frequenza di cui in quel momento hanno più bisogno. Questo in primo luogo richiede da parte nostra un grande ascolto del piccolo perché dobbiamo capire ciò di cui veramente ha bisogno.
Quando porto a dormire Elia vuole che io gli racconti una storia, allora inizio dicendo: “C’era una volta un bambino”, e lui continua: “Che si chiamava Elia”. A quel punto invento sul momento un racconto dove lui é il personaggio principale che vive le esperienze di cui secondo me necessita di più.
Il mese scorso era spesso un cavaliere che vinceva i draghi abbracciandoli, in questo periodo invece dice di avere un nonno con una barba lunga e bianca che gli insegna molte cose. Io, nelle storie che gli racconto, uso questo nonno come fosse un maestro che gli insegna i segreti della vita. In più sa che il nonno é un essere di luce con cui può entrare in contatto in ogni momento. Sta imparando a comunicare con le sue guide senza nemmeno rendersene conto ed è stata un’esigenza nata completamente da lui.
Spesso vogliamo dai nostri figli che siano buoni, ubbidienti e tranquilli senza chiederci ciò di cui veramente hanno bisogno loro.
Le storie che raccontiamo non devono essere strumenti per piegarli alla nostra volontà ma mezzi per aiutarli a fiorire. E se li ascoltiamo attentamente riusciamo a capire i loro reali bisogni.
Non ho mai raccontato ai miei figli storie di bambini buoni che ascoltavano la mamma. Un giorno mia figlia Ginevra a cinque anni mi disse: “Mamma io non voglio essere brava, voglio essere felice”. Oggi a tredici leggo ciò che scrive: “Fregatene di ciò che diranno o penseranno. Se c’é di mezzo la tua felicità passa oltre”.
E quando un bambino é libero di seguire e manifestare la sua natura risplende ed è e sarà da adulto una luce per tutti.
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